Cambiamenti climatici e pianificazione del territorio

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Il dibattito sui cambiamenti climatici è uno dei più accesi ed importanti dei nostri tempi. E’ un tema di fondamentale impatto perché coinvolge non solo la comunità scientifica, ma l’intera popolazione innescando una riflessione sul rapporto tra uomo e natura dal punto di vista etico, sociale e politico. Tuttavia, l’idea diffusa che l’uomo possa, anche in minima parte, indurre un mutamento delle condizioni climatiche deve essere oggetto di un’attenta valutazione che si basi su elementi oggettivi facendo chiarezza e, soprattutto, filtrando l’enorme mole di ricerche ed informazioni disponibili, che sono troppo spesso il frutto di analisi soggettive viziate da quello stesso coinvolgimento emotivo che le alimenta.

Per cambiamenti climatici si intendono le variazioni a livello globale dei valori dei principali parametri climatici ed ambientali del pianeta Terra, con particolare riferimento alle serie di valori di temperatura (dell’aria e degli oceani), precipitazione, nuvolosità nonché alla distribuzione degli elementi naturali che caratterizzano la crosta terrestre (corpi idrici, ghiacci) e dell’ecosistema vegetale ed animale. Tali valori sono da intendersi medi sia nel tempo che nello spazio, ossia rappresentativi di un determinato intervallo temporale e di uno specifico contesto territoriale che solitamente coincide con il globo stesso. E’ importante sottolineare che la scala temporale e spaziale considerata ha una notevole influenza sui risultati prodotti, soprattutto quando le serie di valori utilizzate sono composte non solo da misurazioni dirette, ma anche da ricostruzioni indirette delle condizioni climatiche di epoche passate e del futuro che sono principalmente sviluppate mediante elaborazioni statistiche (figura 1). E’ proprio l’incertezza di cosa sia effettivamente accaduto nelle epoche passate e, soprattutto, di cosa accadrà (o meglio potrebbe accadere) in futuro che genera tanto interesse, dando luogo al proliferare di così diverse trattazioni e conclusioni ed alla conseguente nascita di diverse “correnti di pensiero”. Ciò rappresenta un paradosso dal punto di vista scientifico perché dall’analisi degli stessi dati ed anche utilizzando le stesse ipotesi, nozioni e metodologie di base, si giunge a conclusioni nettamente differenti.

Studi di paleoclimatologia, basati su evidenze indirette di ritrovamenti fossili e stratificazioni geologiche, dimostrano l’esistenza in epoche passate di mutamenti del clima e dell’ambiente che si sono verificati sia nell’arco di milioni che anche di centinaia di anni determinando rispettivamente ere e periodi glaciali ed interglaciali. Tra le cause naturali di tali variazioni troviamo forzanti esterne, quali la dinamica dell’attività solare e dell’orbita terrestre e l’impatto di meteoriti, ma anche fattori interni al sistema Terra stesso quali la deriva dei continenti, le correnti oceaniche e negli ultimi secoli anche il fattore umano.

Gli effetti principali dei cambiamenti climatici legati all’antropizzazione sono l’incremento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello degli oceani e, soprattutto, l’effetto serra che viene giudicato come la causa diretta principale del riscaldamento globale (tanto che tale termine viene, talvolta, usato come sinonimo di cambiamenti climatici). L’effetto serra è il fenomeno di incremento dell’intrappolamento dei raggi infrarossi da parte della porzione più bassa dell’atmosfera che è essenzialmente legato alla composizione dei gas dell’atmosfera. I principali gas serra sono il vapore acqueo, l’anidride carbonica, il metano e l’ozono la cui produzione è influenzata dall’attività dell’uomo e delle industrie.

E’ innegabile che la crescente pressione antropica legata alla continua crescita demografica (figura 2) determini delle modifiche a livello ambientale e climatico, ma a quale scala spazio-temporale? Ossia, quale è il reale effetto della pressione antropica sul clima? O meglio ancora, quale è il valore dell’impatto relativo di tale modifiche in relazione alle forzanti naturali che hanno da sempre determinato la dinamica delle variazioni climatiche? E, soprattutto, quale effetto hanno tali modifiche in relazione alla capacità del pianeta di auto-equilibrarsi ed adeguarsi ai cambiamenti?

Tali quesiti sono l’oggetto di migliaia di articoli giornalistici, siti web, blog e riviste scientifiche. Il dibattito continua ad essere vivo e sempre più acceso, soprattutto in occasioni dei numerosi summit sul clima mirati a trovare accordi intergovernativi, quali il protocollo di Kyoto, per la riduzione delle emissioni, ma appare sempre più evidente come la questione si risolva spesso su posizioni di stampo filosofico, politico ed etico in contrapposizione alle esigenze di crescita e sviluppo socio-economico. A dimostrazione basti pensare che è possibile trovare online una lunga lista di diversi “falsi miti” (https://www.google.it/search?q=climate+change+mith) redatta da addetti ai lavori e non, in cui uno stesso elemento di discussione trova conclusioni diametralmente opposte.

In ogni caso è fuori di ogni dubbio che lo sviluppo industriale e tecnologico che ha caratterizzato gli ultimi tre secoli ha sicuramente alimentato da un lato un progresso senza precedenti delle condizioni di benessere socio-economico e culturale, ma dall’altro ha anche determinato un crescente impatto dell’uomo sulla natura. Tale progresso non è stato, infatti, adeguatamente bilanciato da un’attività di regolamentazione da parte dei governi per il controllo delle dinamiche di sfruttamento delle risorse naturali. Questo è particolarmente importante ed urgente per le grandi economie asiatiche emergenti, India e Cina, che devono fare tesoro ed imparare dalla storia recente delle potenze mondiali occidentali.

Le tecnologie e conoscenze ingegneristiche di ultima generazione per la progettazione ed il monitoraggio del territorio e le “lezioni imparate” dalle sempre più frequenti catastrofi naturali non lasciano più spazio a criteri di intervento soggettivi ed a posizioni catastrofiste, invocanti i cambiamenti climatici, quando si è invece dissennatamente e recidivamente sovra sfruttato il territorio senza rispetto alcuno delle dinamiche e dei vincoli naturali ed in particolare del rischio idrogeologico e costiero (figura 3)

Quindi, aldilà dei falsi miti e della difficoltà nello stabilire quale sia la realtà sui cambiamenti climatici, è importante che tale discussione rimanga al centro dell’attenzione come stimolo perché i governi assecondino la crescita economica e socio-culturale adottando scelte politiche assennate e rigorose in merito alla pianificazione e gestione del territorio e delle coste, alla sviluppo urbano, industriale ed energetico, ed alla costruzione delle grandi infrastrutture civili (porti, ferrovie, strade, dighe).